Intervista a Reggiani e Taiuti – Edizioni Black Coffee

C’è una casa editrice esordiente che sta già raccogliendo un grande entusiasmo: il motivo? Nasce da una collana di successo di Edizioni Clichy a cura di Sara Reggiani e Leonardo Taiuti, che adesso si sono messi in proprio.

Questo sarà dunque l’anno di Edizioni Black Coffee, un progetto dedicato alla letteratura nordamericana contemporanea, con un catalogo che spazia da opere di narrativa pura a quelle di non-fiction.

Ho intervistato i due giovani editori e non c’è alcun dubbio: la parola d’ordine qui è (Nord)America.

  1. Prima di addentrarci nella nuovissima realtà di Black Coffee, mi piacerebbe conoscere meglio il vostro percorso formativo e professionale.

logoblackcoffee_vettoriale-trasparente-495x400Sara: Dopo aver conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere a Bologna, ho frequentato l’Accademia Drosselmeier, sempre a Bologna, perché volevo specializzarmi nell’ambito della letteratura per l’infanzia.

Sognavo da sempre di tradurre per l’editoria, ma non era facile farsi notare con la sola laurea in lingue. Quindi per molto tempo ho tradotto solo per me stessa e ogni tanto inviavo una proposta alle case editrici. Anche il lavoro redazionale mi attirava molto e all’Accademia Drosselmeier mi resi disponibile per fare lo stage di fine corso in una casa editrice: in quel periodo si stava liberando un posto da redattore nel settore ragazzi di Giunti e mi dissero che, se ero disposta ad andare a Firenze, mi avrebbero preso volentieri per un periodo di prova. Ero già con la valigia in mano.

Sono rimasta in Giunti per cinque anni. Lì ho acquisito tutte le competenze necessarie per seguire la lavorazione di un testo dal suo concepimento alla stampa, ho imparato a relazionarmi con gli autori e ho avuto il privilegio di osservare il funzionamento di una grande macchina editoriale dall’interno. Ma io aspettavo solo di avere l’opportunità di tornare a tradurre e, quando mi diedero il primo libro, fu il giorno più bello della mia vita. Non lo scorderò mai.

A quel punto non sono più riuscita a tornare indietro; nel frattempo, sempre in Giunti, ho conosciuto Leonardo e un anno dopo, con l’idea di darci alla libera professione e creare qualcosa insieme, ci siamo licenziati. Per molti anni abbiamo lavorato come traduttori e scout per altre case editrici. Siamo diventati una specie di duo dinamico della traduzione: traducevamo e poi ci revisionavamo a vicenda (e lo facciamo tuttora). Nel frattempo Black Coffee, come progetto editoriale sulla letteratura nordamericana, cominciava a prendere forma nelle nostre menti. Scalpitavamo per renderlo una realtà concreta, ma prima avevamo bisogno di un riscontro. Così abbiamo accettato di portarlo in Clichy come collana di narrativa americana. Il successo è stato inaspettato, ci ha dato forza e consapevolezza e l’esperienza in Clichy ci ha dato anche uno sguardo diretto sul lavoro in una piccola casa editrice. Adesso siamo pronti a camminare sulle nostre gambe.

Leo: Io invece ho intrapreso un percorso leggermente diverso. Ho conosciuto Sara quando sono entrato in Giunti, prima di laurearmi (in giornalismo), e grazie ai suoi racconti e alla sua passione ho sviluppato anch’io un amore viscerale per la traduzione. Ho iniziato a fare la gavetta, in Giunti e traducendo nel settore tecnico per altri clienti, dopo di che ci siamo licenziati per provare a rendere la nostra passione un lavoro. Poi è arrivata Clichy, ed è nata Black Coffee collana. Renderla una casa editrice ci è sembrato il passo più giusto da fare.

  1. Dalla collana di Edizioni Clichy a una casa editrice tutta vostra: quali sono state le tappe fondamentali di questo passaggio? Una domanda che ho posto anche ai ragazzi di Racconti Edizioni riguarda la difficoltà di certi ostacoli che di certo avrete incontrato nel vostro percorso: quali sono stati e come li avete superati?

Sara: Desideravamo da tempo di diventare una realtà indipendente e l’entusiasmo ci ha aiutato ad affrontare in modo positivo gli ostacoli che via via ci si paravano davanti. Come ho già detto, sia io che Leonardo abbiamo avuto modo di osservare da vicino il funzionamento di una grande e di una piccola casa editrice, e sapevamo a cosa andavamo incontro. Non abbiamo avuto problemi a farci largo in questo mondo perché da redattori e traduttori ci vivevamo dentro da tempo. La collaborazione con Clichy inoltre ci ha permesso di farci conoscere sia dai lettori che dagli addetti ai lavori, e quando abbiamo aperto la casa editrice molti sapevano già chi eravamo.

Per quanto riguarda la divisione dei compiti, abbiamo aree di competenza diverse, oltre la traduzione, e possiamo contare su una squadra di professionisti fenomenale (con la maggior parte di loro lavoriamo da tanti anni e siamo molto amici). Il problema, detto senza tanti giri di parole, è sempre e solo il denaro: lo sforzo che richiede l’impresa di aprire una casa editrice, seppur piccola come la nostra, è immane e noi non siamo gente ricca. Semplicemente scommettiamo tutto ciò che abbiamo in questa impresa. Se non altro possiamo permetterci di risparmiare, almeno per il momento, nei costi di traduzione! Non smetteremo di lavorare come traduttori per altre case editrici, proprio per compensare lo sforzo economico di tenere in piedi Black Coffee. Il panorama editoriale italiano è già molto ricco e vario, ma siamo convinti di poterci ritagliare un angolino e in quell’angolino dire cose interessanti.

  1. Edizioni Black Coffee sta appena esordendo ma ha già un progetto specifico: qual è la vostra visione editoriale?

Sara: Vogliamo dare più spazio possibile agli autori esordienti, soprattutto alle voci femminili, andandole a scovare personalmente nelle realtà più indipendenti e vivaci. Proveremo anche a dare spazio alla cosiddetta literary non fiction, che non è la nostra saggistica, bensì l’insieme di quelle opere come diari, memoir, resoconti di viaggio etc. che in Italia non rientrano in una categoria definita, ma che hanno in comune il fatto di nascere da un’esperienza personale ed essere scritti talmente bene da sembrare romanzi, opere di finzione. E come abbiamo fatto quando ancora eravamo solo una collana, ci concentreremo molto sul racconto breve, che tanto amo e credo sia la forma narrativa del futuro. Non mancheranno inoltre recuperi dal passato, di autori fuori catalogo e opere inedite in Italia. Ci muoveremo con cautela, proponendo, per ora, soltanto cinque titolil’anno, per riuscire a dare loro il giusto peso e la cura che meritano. Il nostro intento è di portare in Italia i libri che in America ci hanno lasciato senza parolecorpo_grande per bellezza espressiva, originalità, sincerità.

  1. Se poteste chiudere gli occhi e immaginare un’opera o in generale uno scrittore che riesca a incarnare lo spirito di Edizioni Black Coffee, quale sarebbe?

Sara: Rispondo senza esitazioni: il primo del catalogo, Il corpo che vuoi di Alexandra Kleeman. Questo libro incarna per me tutto ciò che sta al cuore di Black Coffee: è un romanzo d’esordio, di una giovane scrittrice americana di seconda generazione (la madre è taiwanese e lei è cresciuta tra il Giappone e il Colorado), originale, crudo, attuale. Ha tutto, ed è per questo che l’ho voluto fortemente.

Leo: Io invece ne ho in mente un altro tra quelli che pubblicheremo, ma non posso dirti nulla perché ancora non l’abbiamo presentato e sarebbe uno spoiler pazzesco 🙂

  1. Attraverso i social avete annunciato il titolo che nei primi di marzo inaugurerà il catalogo, Il corpo che vuoi di Alexandra Kleeman, una storia sulla trasformazione che si preannuncia assurda e adorabile. Quali saranno i prossimi titoli?

Leo: Come ho detto nella domanda precedente, sveleremo i titoli passo passo. Per ora possiamo solo rivelarti il secondo, Lions della nostra cara Bonnie Nadzam, di cui abbiamo già pubblicato il romanzo d’esordio, Lamb, con Clichy. Pubblichiamo solo cinque titoli l’anno, non possiamo sbottonarci troppo!

  1. Alla luce di questo nuovo progetto, cosa significa per voi essere editori, soprattutto in un Paese complesso come l’Italia?

Sara: Significa cercare un interlocutore ideale e mettergli fra le mani tutto quello che di bello hai visto, cercato, trovato in un Paese che non è il suo. E penso che sia importante che a farlo siano, una volta tanto, due traduttori.