L’ospite d’onore – Joy Williams

L'ospite d'onore
All art is about nothingness: our apprehension of it, our fear of it, its approach.

Se esiste un’unità di misura del fallimento umano, per Joy Williams è l’afflato del racconto, lo strumento con cui dipinge la corruzione del dolore ne L’ospite d’onore.

Giunto tra gli scaffali italiani grazie all’edizione e alla traduzione dei tipi di Black Coffee, questo tomone dalla copertina eccezionale è un’intensa raccolta di short stories caustiche.

La vita era ciò che ne facevi.

Il fallimento, si diceva: è qui quello dell’America, ma è metafora di un’umanità più grande, costantemente alla deriva di sé stessa. I personaggi di questi racconti d’intensa drammaticità, così differenti per età, estrazione sociale, prospettiva di vita, sono in realtà lo spettro di un tipo unico: quello che prima o poi deve fare i conti con la propria insoddisfazione.

Imagination only fails us in the end, when the stories we tell ourselves have to stop.

Si insinua, perciò, nelle perfette narrazioni di poche pagine una depressione di ordine comune e generale: in questo, forse, la Williams si può definire la più potente tra gli esponenti del Realismo americano.

Scandaglia infatti con pragmatismo lo smarrimento che attanaglia di fronte alle scelte, dipingendo tratti di persone – più che di personaggi – che tendono a perdere il contatto con la realtà e che si muovono con un trauma spesso appena subito, di cui non vogliono avere ragioni. Perciò anche nei momenti di pace è in agguato il dramma, né può essere altrimenti:

Sam ed Elizabeth si erano conosciuti come si conoscono tutti: all’improvviso, una luce ingannevole appare nell’oscurità. Una luce che crudelmente rende l’uomo consapevole del buio.

In questo modo, piccoli momenti di confusione si alternano a lucide verità su dolori estremi e irreversibili: diversi confronti severi con la morte, per esempio, chiosano intere pagine di dialoghi di illuminante quotidianità (come La pattinatrice, Marabù, L’ultima generazione e, su tutti, L’ospite d’onore). E ammantano l’esperienza della narrazione di una tristezza sì devastante, eppure obbligatoria:

Erano solo parole, ne era consapevole, parole che chiunque avrebbe potuto pronunciare, ma dietro alle parole si nascondono sempre delle cose, cose che a volte non puoi dire a nessuno, men che meno a una persona che ami, cose che fanno paura e che per giunta non sono vere.

I confini delle certezze, alla fine, collassano su sé stessi e aprono il varco della disperazione più pura, così dolce nel suo rivelarsi senza armature.

E in questo, invece, la Williams si può definire la più potente tra gli scrittori in grado di dipingere con tocchi di empatia l’affanno di chi non riesce a raggiungere uno stato di quiete.

What good stories deal with is the horror and incomprehensibility of time, the dark encroachment of old catastrophes.

È vero, in queste storie il rapporto spazio-tempo non è magnanimo, e così viene a mancare il riscatto del presente:

Quando il giardiniere finisce di rivivere il passato nella misura in cui gli risulta affidabile, vive nel futuro.

Ed è chiaro che questi personaggi si muovono su assi temporali che non conducono mai a un porto sicuro:

Il tempo non si spostava più di traverso come le era sempre parso, bensì verso l’alto, per poi ricadere e ripiegarsi su se stesso come uno che è stato avvelenato, come una cosa danneggiata.

Eppure c’è un barlume di vita che affiora da questa scrittura senza pietà e – allo stesso tempo – senza cattiveria, che costruisce, racconto dopo racconto, una ballata di strofe di diversa entità, senza mai giungere alla catarsi.

Non per privarla ai suoi protagonisti, né per dichiarare guerra ai maniaci del lieto fine: piuttosto per lasciarla galleggiare in un sospeso divenire, l’unica prospettiva che un cuore trafitto dal dolore riesce a sostenere.

Love is further than death.

È in questo, infine, che la Williams si può definire la più potente tra gli scrittori della redenzione. Quella che svicola dai dettami, quella che mai si adeguerebbe alle contingenze religiose.

Quella che, più semplicemente, è propria dell’uomo: umile tra gli umili.

Joy Williams, L’ospite d’onore, 
pp. 664,
 Edizioni Black Coffee, 2017