L’ospite – Lalla Romano

La vita umana è organizzata in cicli più o meno brevi: infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia. E però, in quella maturità, in quell’adultità così ampiamente anelata, si cela un periodo lungo una cinquantina d’anni – ed è d’obbligo ritenere che sia anch’essa una condizione attraversata da più fasi.

È difficile ammettere che la maturità sia essa stessa composta da un inizio, uno svolgimento e una fine; questo svolgimento, ovviamente, è attraversato da momenti di crescita e di ricadute, da lezioni imparate con facilità e da sottaciute verità difficili da accettare, da conquiste da poco e da crisi difficili da superare.

lospite_coverLalla Romano ne L’ospite, già edito Einaudi ma ora in libreria grazie ai tipi di Edizioni Lindau, scopre – e osserva in soggettiva – il cambiamento operato in lei dalla nuova condizione di nonna.

Pubblicato nel 1973, dopo la vittoria del Premio Strega nel 1969 con Le parole tra noi leggere, che indaga il complesso rapporto tra una madre e il figlio, questo racconto lungo (che ha in copertina un dipinto dai colori pastello della stessa Romano) sembra il naturale proseguimento di quella storia: Emiliano, un bambino in fasce dai cosciotti rotondi e dagli occhietti vispi, viene affidato alla protagonista a causa di un viaggio in Nepal dei genitori. Il rapporto che la Romano autobiograficamente disvela, in piccoli affreschi che non seguono una linearità temporale, è quello di un attaccamento sempre più viscerale, che perde i contatti col mondo esterno e a volte si perde nelle fantasticherie di una donna diversa da ciò che fino a quel momento credeva d’essere.

Intorno era il mio solito mondo non più mio.

Non c’è niente di morboso, ma la protagonista stupisce di sé stessa per le attenzioni al nipotino che a tempo debito nemmeno al figlio aveva riservato: una donna colta, fiera del suo sapere, umanamente si sgretola di fronte alla luminosa meraviglia di questo piccolo dio, arrivato nella sua vita senza averlo richiesto, senza nemmeno averlo voluto.

Come spiega con piglio tutto peculiare Pasolini nella postfazione, addentrarsi ne L’ospite significa sfogliare il diario frammentato di questo rapporto, dipingendo un quieto racconto quotidiano delle scoperte materne forgiato da dolci allusioni, simbolismi velati, giochi di parole, rimandi ad altre sfere culturali. Senza lasciare da parte, in questo racconto-verità, le paure infondate, la logica banale del rifiuto immotivato, la gelosia delle altre persone a contatto col dio Emiliano: ed è in questo proliferare di umanità che si crea un rapporto di fiducia con chi legge.

Le sue prime scarpette – consunte sulle punte per quel battere sui pavimenti – sono conservate in una teca trasparente – non di cristallo – insieme a certe rose di seta per abiti da sera, mai messe e rimaste lì.

Feticismo? E con questo? L’amore è uno; e non è detto che nelle sue cosiddette distorsioni sia meno vero, meno nobile.

E cos’altro è, un ospite, se non la condizione dell’ospitante ma anche quella dell’ospitato? Pare chiaro, dunque, che ci sia una sorta di fusione tra le due persone, temporanea, fantasiosa, ma pur sempre (letterariamente) esistente.

La vita concreta, e dunque anche quella emotiva, di una donna invasa dal nipote; così i ritmi quotidiani e le consuetudini sono alterate: un fatto così piccolo, si direbbe marginale, stravolge le prospettive. È per questo L’ospite un fatto privato che si erge a materia letteraria dell’esperienza umana e intellettuale dell’autrice, con una grazia lessicale e una delicatezza di pensiero senza pari.

C’è sempre da imparare, nella vita, anche dagli inaspettati rapporti familiari. E la lezione che la Romano insegna è che bisogna farlo lasciandosi trasportare dalle emozioni, senza averne paura, senza lasciarle indietro mai.

Lalla Romano, L’ospite, pp. 144, Edizioni Lindau, 2016