Pensiero madre – AA. VV.

All’inizio di PENSIERO-MADRE_copertinatutto c’era una Lei, che ha cominciato a guardarsi intorno e a chiedersi chi fossero tutte quelle altre donne intorno, quali fossero le loro storie, come interpretassero il loro posto nel mondo; la domanda che tale donna ha pian piano focalizzato, ruota attorno al tema della maternità, elemento imprescindibile e implicito in ogni vita declinata al femminile.


Questa donna è Federica De Paolis, che ha raccolto in Pensiero madre – appena edito da Neo Edizioni – le voci di diciassette autorevoli scrittrici che si confrontano sul tema della maternità: Simona Baldanzi, Chiara Barzini, Ilaria Bernardini, Cinzia Bomoll, Caterina Bonvicini, Gaja Cenciarelli, Silvia Cossu, Camilla Costanzo, Carla D’Alessio, Gaia Manzini, Kamin Mohammadi, Melissa Panarello, Gilda Policastro, Veronica Raimo, Taiye Selasi, Simona Sparaco, Chiara Valerio.

Raccontare la maternità, o più semplicemente l’aspirazione (ma anche il timore) di essere madre è il tema apparentemente semplice che percorre queste pagine: sembra infatti che al giorno d’oggi la manifestazione del desiderio di un figlio debba essere scontata, ma la realtà è molto più complessa di così e questa raccolta dipinge un affresco ampio e strutturato di questa molteplicità che incute timore.

Essere donna, infatti, non coincide con l’essere madre, e le declinazioni di questa asserzione etica si articolano in pagine di pacata, ma incisiva, rielaborazione letteraria.

Pensiero madre è dunque un’antologia di racconti a metà strada tra la fiction e l’autobiografia, che ripercorrono scene di banale vita quotidiana (un dialogo col compagno su un servizio televisivo, una visita in ospedale al padre malato, un viaggio in metro) alla luce di un’implacabile verità: la lotta contro il tempo della scelta, imposto da una natura leopardianamente maligna.

Non so se non ho voluto, so che non è capitato.

Ogni racconto reca in sé un pensiero madre intimo e originale e si muove al suono del ticchettio implacabile di un orologio biologico, che ha a che fare con la paura di perdere tempo: è il timore arcaico di lasciar andare la possibilità di individuare il senso della vita, quel panico che tutte le conquiste in campo lavorativo non possano bastare a rendere soddisfacente una vita intera di successi.

È l’ansia dell’epifania, nel mezzo del cammin di nostra vita, di possedere un apparato riproduttivo e di voler generare una vita, per ridisegnare le coordinate di un’esistenza che sembrava già prestabilita e, invece, si trova di nuovo a modificare il proprio percorso:

Una creatura è uscita fuori di me. Ha compiuto un percorso uguale e contrario a quello che accade mangiando, bevendo, introiettando il mondo per comprenderlo e trovarvi un posto che sia solo nostro. Questa creatura è un’estensione verso il terreno ignoto delle possibilità, e così tutta la mia vita passata, d’un tratto, è diventata una terra estranea. Lontana. Che posso guardare e dire con la chiarezza di una prospettiva più ampia. Devo trovare parole nuove, perché quelle vecchie non ci sono più. È avvenuto un cambiamento nel linguaggio e nel cervello, nel corpo e nella testa. Posso vedere il passato con contorni delineati, taglienti come bordi di coltello.

La maternità come bagaglio di esperienza vitale prima ancora che genitoriale. Come atto di egoismo (volersi replicare) o come spasmodico mezzo per riparare una storia d’amore vacillante. Come strumento per annullare sé stesse nell’abnegazione verso il nuovo essere venuto al mondo o come atto proletario di esistenza nel mondo, al nobile scopo di migliorarlo. Come strumento per affermare la propria esistenza. Oppure ancora come una specie di tsunami, un desiderio che un giorno travolge con tale intensità da lasciare senza fiato.

AutriciÈ così che in ogni narrazione è esplicitato, con squisita abilità, un personale concetto di maternità, e non c’è una riflessione che non attiri l’attenzione di chi non aveva mai provato ad assumere quel nuovo, preciso, punto di vista sull’argomento: anche nei racconti meno emotivamente pungenti, affiora sempre una scena, una riflessione o una frase che restituisce una serena verità sulla condizione dell’essere (o del non essere) madre.

Non è un caso che gli uomini in queste narrazioni non siano esclusi del tutto, ma che si facciano necessariamente da parte per dare respiro a una vicenda tutta femminile che, spesso, si rivela ammantata di un velo di tenebrosità e incertezza.

Voler diventare madre a tutti costi, non avere intenzione di dare alla luce alcun figlio in nessun caso, lasciar scivolare via il tempo adatto per creare una famiglia senza rifletterci davvero: persino la maternità, questo atto di estrema generosità verso il mondo, è una questione di scelta in solitudine.

Stare soli è più divertente?

Meno monotono. Non ci sono da fare e dire sempre le stesse cose tutti i giorni.

Sarebbero?

Le cose normali, preparare il pranzo, ciao amore, ciao bimbi, ci vediamo stasera, cose così.

È così terribile?

Io non voglio salutare nessuno, se sono di cattivo umore.

Ti capita spesso?

Sì, spesso.

E come mai?

Non c’è molto da rallegrarsi.

In questo momento storico?

Nella vita in quanto tale.

Una visione cupa.

Onesta.

AA. VV., Pensiero madre, pp. 248, Neo Edizioni, 2016

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